giovedì 22 ottobre 2020

La convivenza e la legge: caratteristiche e disciplina

In seguito alle istanze provenienti dalla società, sulla base delle quali si chiede, da più parti, di riconoscere i diritti (ma anche i doveri) per le persone che vivono insieme stabilmente ma non possono o non vogliono contrarre matrimonio, risulta oltremodo urgente approfondire il tema della convivenza.

Mentre nel matrimonio il vivere insieme è soltanto un aspetto tra i tanti (vedasi articolo "Apologia del matrimonio etimologicamente inteso"), nella convivenza questo assume l'aspetto preponderante, come anche la parola stessa lascia intendere.

La ragione che induce a regolamentare le convivenze risiede nel fatto stesso che dalla coabitazione possono derivare molteplici aspetti di natura economica e sociale.

Il fondamento costituzionale alla base della regolamentazione delle convivenze si trova all'art. 2 della Costituzione che recita: "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale". Tradotto, significa che i diritti individuali assumono rilievo costituzionale anche in quelle formazioni stabili ove il soggetto vive.

Quasi tutti gli esseri umani convivono e si ritrovano a realizzare la propria personalità nella relazione con altre persone. La maggior parte vive all'interno della forma naturale della famiglia e del matrimonio. Tuttavia una parte non indifferente sceglie di non sperimentare questa forma di vita oppure, una volta vissuta nell'infanzia, decide si tentare nuove strade. Le ragioni che portano, soprattutto nell'età contemporanea e nel mondo occidentale, a preferire altri schemi di vita sono molteplici e non possono essere oggetto della presente riflessione. Ciò che preme è tuttavia rilevare che il fattore della convivenza stabile - cioè non ridotta a qualche giorno di coabitazione/ospitalità - assume, di per sé, un rilievo tale da incidere nei rapporti economici e sociali.

Estraneo a questo discorso rimane l'affettività. Per quanto venga invocata da più parti come totem a cui immolare le battaglie per una supposta parità di diritti, l'affetto non può assumere alcun rilievo giuridico. L'amore, l'odio, il sentimento, sono espressioni umane che appartengono al foro interno della persona, e che non possono trovare spazio nel diritto anche e soprattutto perché non possono essere oggetto di misurazione. Se una legge stabilisse che uno dei requisiti per una convivenza sia l'affetto, in che modo lo Stato potrebbe appurarne la presenza? Con una dichiarazione di intenti? Con un bacio scambiato davanti l'ufficiale di stato civile? E' chiaro che il diritto si occupa di altro, e per fortuna! Uno Stato che si occupasse anche dei sentimenti sarebbe, oltre che estremamente pericoloso e totalitario, anche essenzialmente incapace di eseguire tale pretesa perché ciò non gli compete e mai gli competerà!

Ciò detto, appurato che l'affettività non può essere oggetto di regolamentazione, una convivenza di cosa abbisogna per essere tale? In realtà, gli unici requisiti di una convivenza sono la presenza di una pluralità di individui che decidono di coabitare liberamente e stabilmente in determinato indirizzo.
La convivenza, diversamente dal matrimonio, non richiede una complementarità sessuale. E può verificarsi anche tra più di due persone, almeno fino ad un numero tale da costituire un gruppo in grado di convivere nello stesso luogo. Facciamo alcuni esempi. Un uomo e una donna che decidono di andare a vivere insieme ma di non sposarsi costituiscono una convivenza. Una coppia di due uomini o due donne che vogliono coabitare costituiscono anch'essi una convivenza. Un gruppo di donne che decidono di andare a vivere insieme formano anche loro una convivenza: che siano delle suore, un collettivo femminista o delle lesbiche questo non ha alcun rilievo per il diritto.

Estranee all'istituto della convivenza saranno, ovviamente, le finalità della procreazione, crescita ed educazione dei figli. Per quanto da una convivenza tra un uomo e una donna (è ovvio, ma in questi tempi repetita juvant) possano nascere dei figli, è l'evento della filiazione - non della convivenza - che comporta la costituzione di un nuovo nucleo familiare composto dal padre, dalla madre e dai figli. Ovviamente, i genitori possono continuare a riconoscersi semplicemente conviventi, senza contrarre matrimonio, ma con la nascita di un figlio saranno loro attribuiti una serie di doveri che non avevano con la convivenza, che sono tipici del rapporto di filiazione.
Elementi accidentali e non necessari per una convivenza sono altresì l'unione fisica, morale o spirituale, sebbene spesso siano riscontrabili. Ne consegue che qualsiasi legge che intenda disciplinare la convivenza dovrà necessariamente escluderne la previsione. O forse la convivenza con unione fisica è maggiormente meritevole di tutela dell'unione morale, o spirituale, o viceversa? E soprattutto, come provare l'unione morale e spirituale?

Il fine della convivenza è quindi la coabitazione in quanto tale, non la creazione di una nuova famiglia (fatto quest'ultimo che - senso comune insegna - potrebbe verificarsi più facilmente in una coabitazione di persone di sesso diverso piuttosto che nella vita eremitica!) né la filiazione (da cui derivano appositi doveri previsti dalla legge).

Se poi questo nuovo nucleo di persone che coabitano voglia definirsi lato sensu "famiglia", ciò può ammettersi soltanto nel significato generale di nuova cellula sociale, e non nel senso proprio e naturale del termine.

In questa formazione sociale derivante dalla coabitazione risulta chiaramente opportuno che la legge civile garantisca una copertura legale per delle situazioni delicate, quali:
- diritto alla prosecuzione nell'abitazione in caso di morte del convivente proprietario o titolare dell'affitto, almeno per un periodo congruo;
- diritto di visita in caso di malattia o ricovero ospedaliero;
- diritto di visita in carcere;
- preferenza ad essere nominato quale amministratore o tutore in caso di bisogno, etc.

Insomma, fatte le dovute premesse, la convivenza è fenomeno umano che, ancor più di questi tempi, necessita di essere disciplinato dalla legge civile per evidenti ragioni di tutela dei singoli diritti dei conviventi e garanzia dei rapporti sociali.